Omelia dell’eucaristia per l’ammissione al ministero di Matteo Biancardi

IL MINISTERO PER STARE NELLE MANI DI DIO

Oggi la liturgia ci presenta la chiamata a lavorare nella vigna del Signore: chiamata che è rivolta a tutti e che attende la libera risposta di ciascuno di noi.
Diviene allora molto significativo che proprio in questo giorno la
nostra Comunità festeggi e accompagni la risposta di donazione di Matteo,
della sua storia, di una persona che intende proprio tentare di prender su la Croce del Signore e magari salirvici sopra e imitarne il servizio amorevole, come del resto ci ha raccomandato l’Apostolo: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,15-20).
Incontrare persone così sul proprio cammino, significa incontrare i
segni di un’altra Presenza, i segni di quel frutto bello che ogni esistenza
dovrebbe costituire, come già l’antico popolo di Dio che aveva ricevuto
ogni amorevole cura per poter essere la piantagione preferita, la migliore,
la più bella; eppure mancò all’appuntamento con l’unico amore che fa
felici (Is 5, 1-7)! Proprio come noi che spesso non riusciamo o non
vogliamo dare il giusto nome al nostro desiderio di pienezza e di felicità e
domandiamo altro e ci rivolgiamo altrove… Persone come Matteo non
sono più brave di noi, ma con le loro storie e le loro scelte ci rammentano
senz’altro che Gesù è l’unico senso della vita degli uomini, ciò che di più
grande e di più bello vi possa essere al mondo.
E tuttavia anche il prete non è esente dalla tentazione di pensare che
per vivere in pienezza basti produrre qualche acino acerbo (Is 5): anche il
ministero cioè può essere vissuto e gestito pensando che per essere bravi
occorra avere le mani piene di tante cose fatte per Dio e per gli altri, piene
di esperienze intense e fervide…
Invece il ministero ti è dato anzitutto per essere te stesso, cioè per
divenire sempre più e sempre meglio un credente, ossia per poter prender
su la Croce che è la nostra identità e che per questo dura tutta una vita:
perché il cristiano è per definizione un crocifisso, è uno che dovrebbe
avere il pensiero, la statura, la vita stessa di Gesù, il Crocifisso-Risorto.

Dunque ciò che veramente conta non è fare il prete, ma esserlo,
divenendo tale in tutte le pieghe della propria esistenza e non smettendo
mai di stare in cammino, di essere in formazione per questo, non
smettendo mai… di crescere!
E ciò può avvenire certamente imparando a rimanere al proprio posto
che è l’ultimo (1Cor 4,9: “Io ritengo che Dio abbia messo noi apostoli
all’ultimo posto, come condannati a morte..”
; e anche S.Teresina diceva:
“Pregate perché il granello di sabbia rimanga sempre al suo posto, cioè
sotto i piedi di tutti”
, come Gesù appunto).
Si assume un ministero nella Chiesa solo desiderando nient’altro
che questo, di stare dove sta Gesù perché è solo così che si diventa
cristiani, divenendo sempre più contenti di Dio e di nient’altro, felici di
appartenergli nella fatica di stare tra le sue mani. Proprio per questo la
gioia di un ministro è fecondata non tanto dalle consolazioni, ma piuttosto
dall’aridità di una fede mai scontata e mai quieta, ma quotidianamente
sperimentata nella via esigente del vangelo e tradotta non senza sofferenza
in una vita pura, povera, obbediente.
Stare dove sta Gesù vuol dire inoltre mettersi a servizio del mondo,
cioè degli uomini, amandoli tanto, anche quando, con la loro libertà,
voltano le spalle all’invito migliore che il Signore abbia mai rivolto (Mt
21, 28-32
). Per questo il prete non può che essere un innamorato della sua
comunità: per essa è chiamato a dare la vita (come Gesù) e ad essa è
totalmente dedicato; potremmo dire che un prete non si salva senza la
sua comunità perché la vita di un ministro, la sua santità, la sua gioia e
persino la sua salvezza sono indissolubilmente legate alla vita, alla santità
e alla salvezza della sua gente.
Diviene dunque necessario e mai scontato anche per un prete
mantenersi nella fede, conservare la fiducia in Dio, riempirsi soltanto di
Lui, senza altri desideri e senza prefiggersi altre mete.
Allora il ministero può divenire veramente mezzo prezioso per attendere Lui, giungendo a capire cosa significa aspettarlo per davvero come unica risposta, come sola via d’uscita, come unico senso di quanto è dato di fare o di non fare; aspettarlo davvero con le mani vuote di tutto e spogliati persino di ciò che si riteneva essenziale; aspettarlo sperimentando anche la Sua lontananza nella quale è dato di vivere l’autentica figliolanza in cui si rivela la Sua paternità: solo in questa prospettiva di affidamento reale, totale e autentico, si può allora comprendere che “anche pulire le vetrine può essere una croce da prete” (Card. Miloslav Vlk, Arcivescovo di Praga).
Ma è proprio a questo punto che Dio consola, perchè allora può agire veramente solo Lui: e quando Lui è all’opera non ama mai per scherzo, ma è fedele e quando ci conduce ai limiti dell’affidamento lo fa proprio per darci il meglio di se stesso, che è poi il massimo della vita, perché “solo quando passi per dove non sei nulla allora puoi giungere ad essere tutto” (S.Giovanni della Croce).

Se questa è la certezza (che cioè Dio è all’opera e che è fedele) a noi
è richiesta la risposta della consegna di tutto noi stessi e che corrisponde
all’amore, quello autentico, quello cioè provato da un cuore sanguinante
che conosce lo “zero quotidiano” (T.Merton) del servizio reale alla comunità cristiana e che è costituito non da un vuoto fraseggio sentimentale o dall’emozione del momento, ma piuttosto, ad esempio, da quella preghiera quotidiana a volte così arida e che sembra rubare tempo prezioso; dalla fatica che spesso occorre per obbedire e non litigare; dalla costante pazienza nel rinunciare a gusti propri che però non sono l’essenziale; dal saper sopportare tanto; dal non naufragare nelle meschinità e nelle mediocrità di cui spesso si può essere circondati: perché se una comunità desidera altri pani e beve ad altre acque anche il pastore è tentato di adattarsi, di accasarsi, di tirare a campare o, peggio, di smarrirsi, di rimanere disorientato. Del resto, il ministero non consacra dei santi, ma
è una delle vie alla santità e anche il prete resta sempre un pover’uomo
che fatica a convertirsi e a seguire il Signore e che per questo ha bisogno
dell’aiuto, del sostegno e del buon esempio della sua comunità, per evitare
che il ministero diventi un mestiere o che il servizio si cambi in
protagonismo!
Questo nostro amico oggi sta qui davanti a noi non per un’autocandidatura, ma perché ha risposto ad un invito e perché intende corrispondere ad un mandato imparando “ad essere utile senza la pretesa di essere efficace” (M.Delbrel).
E in questo servizio non verrà mai smobilitato se non nell’ultimo istante, di fronte alla morte, quando allora dovrà ripetere per se stesso ciò che avrà sempre insegnato agli altri: “Padre mi fido di te, nelle tue mani metto la mia vita”. Non si può dunque chiedere altro a questo nostro fratello e amico se
non che ci aiuti, già da ora con il suo esempio, a crescere nella fede, cioè
a mettere la vita nelle mani di Dio, perché unicamente questo sarà il suo
compito assumendo il ministero: il compito stesso di Gesù di radunare tutti
gli uomini nell’affetto del Padre.


Ed ora una parola particolare per Matteo: tra pochissimi anni anche
tu sarai chiamato presbitero cioè uomo maturo per il governo di una
comunità; un uomo destinato a toccare quanto più di profondo ed
importante vi è nella vita delle persone; un uomo a cui la gente si affiderà
con la fiducia di non venire tradita.
Già da ora sarai una persona pubblica che in qualche modo rappresenterai la Chiesa ed il suo annuncio: già da ora testimonierai più esplicitamente (richiamandolo anche con un abito particolare) che Dio esiste, che è così vero da dargli la tua giovinezza e la vita intera, che egli deve essere per tutti l’unico amore.
Imparerai inoltre che ricercare la salvezza di questo popolo significa
essere tu per primo ricolmo dell’amicizia di Gesù e comprenderai che non
si può salire ogni giorno all’altare senza offrire se stessi con Lui e come
Lui al Padre; e questo non appena quando capita o se ne ha voglia, ma
sempre, perché proprio in questa consegna fiduciale di tutto te stesso, sta il
senso e la beatitudine della vita.
A nome della nostra Comunità voglio augurarti di diventare e rimanere un vero prete, nient’altro che prete, in qualsiasi situazione, in ogni responsabilità, con qualsiasi persona; perché essere prete non è una
prestazione a tempo determinato…
Non essere mai un disertore, né un illuso e neppure un pauroso perché la strada su cui ti incammini è una via di libertà, di verità, di umanità autentica e quindi di gioia: non è possibile percorrerla per forza né
mentendo a se stessi o agli altri e tanto meno con rabbia o delusione.
Cerca sempre e soltanto ciò che ti fa contento per davvero e allora
Dio si affaccerà sempre sul tuo traguardo perché è lui l’unica possibilità di
vita e di contentezza.
E quando un giorno gli uomini e le cose (compreso il ministero) non
ti sorreggeranno più, non ti basteranno più, perché neppure tu riuscirai più a portarne il peso, ci sia anche per te un Pastore, il Crocifisso con le braccia aperte, pronto ad accoglierti e a farti riposare sul suo cuore.
don Mauro