26 agosto 2023, Sant’Alessandro Martire, Patrono della città di Melzo
Oggi ricordiamo un uomo-santo: questo appellativo significa “alternativo, differente” in quanto “riservato” per uno scopo particolare, alto, addirittura divino. I Santi sono coloro che si sono separati dalla mentalità corrente, dagli usi e dalle consuetudini, per riservare l’intera esistenza a Cristo e in tal modo sono risultati diversi, alternativi appunto, rispetto a tutto e a tutti.
Alessandro, santo e martire, è un patrono che ci invita a fare la differenza, ad essere cioè uomini e donne alternativi, che non si adeguano supinamente all’egemonia delle grida o degli slogan e neppure del politically corretct o del buonismo dilagante…
Sant’Alessandro ha preso posizione, ha compiuto delle scelte, ha deciso chi essere e cosa fare anche a costo di rimetterci l’esistenza intera: forse anche noi farebbe bene osare qualcosa, tentare vie nuove, uscire allo scoperto e superare, almeno ogni tanto, burocrazie e formalismi e giocarci di più nell’ardimento delle proposte e nel coinvolgimento delle decisioni.
Proprio per questo ci è stato raccomandato di armarci: non certo
per offendere qualcuno e neppure per difenderci da chi ci sta accanto. Piuttosto, l’armatura che l’apostolo Paolo ci ha suggerito è proprio per permetterci di essere persone forti di fronte agli assalti dei condizionamenti e dei luoghi comuni e, soprattutto, di fronte all’accanimento del male.
Definendo l’esistenza cristiana come “combattimento spirituale”, Paolo vuole indicarne due caratteristiche: il combattimento è un impegno inevitabile e pericoloso.
È inevitabile, perché non possiamo esimerci da questa lotta, dobbiamo prendere posizione. Del resto: chi non sceglie non vive! (C.M.Martini).
È pericoloso, perché siamo immersi in una mentalità opposta, a volte indifferente, che ci disorienta, facendoci perdere il vero senso e la serietà dell’esistenza. Ed è proprio a questa serietà che Paolo si richiama scrivendo alla comunità degli Efesini che probabilmente mancava di un adeguato armamentario per la lotta.
Se ci pensiamo bene infatti, tutta la vita è una lotta tra la scelta di lasciarci modellare a immagine del bene e del bello e la scelta di deformare la nostra immagine con tutto ciò che può apparire ammiccante, ma che poi svilisce la nostra umanità. Dove sta dunque la verità delle cose, delle scelte, della vita intera? Questo interrogativo deve necessariamente permeare anche la cosa pubblica perchè solo le motivazioni autentiche possono generare il bene di tutti e al di là di tutto, anche al di là delle critiche o delle contestazioni; perchè se si sta costruendo il bene vero, quello cioè determinato dal vero significato dell’essere umano, che è soggetto e non oggetto, persona e non individuo, allora non c’è nulla da temere, nè schieramenti, nè opposisizioni e neppure gli inevitabili errori o fallimenti.
E allora diviene più che mai opportuno il richiamo che Gesù ci ha fatto nel vangelo a «dare a Dio ciò che è di Dio», cioè a porre Lui al centro e a concepire di conseguenza tutta la realtà a partire da Lui, facendo convergere tutto e ogni singola cosa verso di lui; questa prospettiva non sminuisce per nulla l’uomo o la società, bensì conferisce loro un senso divino. E se tutto ha un senso divino ne deriva per l’uomo una possibilità di giustizia, di pace, di comprensione, di fraternità, cose tutte che provengono da Dio. È una visuale che comprende e abbraccia in sé tutto l’universo.
L’alternativa è quella di non riconoscere Dio; e allora si concepisce l’uomo, la terra, il mondo, prescindendo da lui, negando la dipendenza da lui e mettendo al centro qualcos’altro: sì, ma cosa o chi? Normalmente sono i nostri interessi, o quelli di parte; normalmente si tratta di misurare tutto su noi stessi facendo partire ogni cosa da noi e facendola anche morire poi con noi! Ponendo al centro l’individuo in maniera così assoluta e definitiva, si esclude qualsiasi dipendenza, non c’è alcuna forma di relazione con qualcun’altro, che si tratti di Dio o che si tratti degli uomini.
La nostra Città forse soffre anch’essa di questa mancanza di un’immagine vivida, ben delineata, bella e appagante. Ciò non può essere frutto di infrastrutture efficienti o di servizi e politiche sociali dinamiche e produttive: certamente tutto ciò è importante, ma se la nostra umanità è svilita dalla mediocrità, adagiata sul banale, impoverita dai luoghi comuni, svuotata di valori e di spessore… ogni intervento non sarà che un semplice cerotto su una ferita sempre aperta.
Con questo non si vuole imporre la fede a tutti, nè affermare che questa sia la panecea di tutti i mali. Tuttavia rimane assolutamente vero che la domanda fondamentale della fede (io chi sono e perchè esisto?) è imprescindibile e ognuno dovrebbe necessariamente porsela: che se così fosse, la nostra convivenza sociale sarebbe senz’altro più rispettosa, meno aggressiva, più educata e gentile, persino servizievole, più attenta ad ognuno e anche più civile nell’uso dei beni e delle cose di tutti.
In particolare è più che mai urgente educare i giovani a tutto ciò, insegnando loro (ma anche e soprattutto a noi stessi per primi) a passare dal riconoscimento dei valori alla virtù, ossia all’assunzione personale di scelte, stili e comportamenti autenticamente umani che dovrebbero corrisponderci in modo normale e naturale, ma che di fatto possono essere sostenuti solamente da una solida motivazione di senso; perchè se nulla può la razionalità, che senso avrebbe appellarsi alla responsabilità? (Luhmann, sociologo).
E così Sant’Alessandro ci ha condotti a considerare la sua esistenza persa per Cristo non come una leggenda, ma come una verità che ci riguarda e ci interpella. Non ha infatti alcun senso costruire qualcosa di buono e di bello se la nostra convivenza umana è priva di significato; e neppure potranno avere seguito politiche sociali, riforme, modelli di cura o di educazione… se alla domanda di senso non venisse offerto l’orizzonte autentico dell’umano che, per lo meno, è un continuo rimando ad altro e ad altri e senz’altro non corrisponde a quella libertà malata nella quale tutti ci dibattiamo per il semplice fatto che non vogliamo riconoscere che siamo davvero liberi proprio perchè non siamo autoreferenziali! (H.Arendt, politologa atea!).
Non è che forse una buona politica sarebbe anche quella che ci aiutasse a ragionare, a pensare, a diffondere cultura e a suscitare domande più grandi delle sole richieste di servizi e prestazioni? Non sarebbe anche questa quella concretezza dell’utopia che ha riassunto, ad esempio, l’impegno sociale e politico di quel grande Sindaco italiano che fu Giorgio la Pira?
d.Mauro