10 Marzo 2024
Mi siete cari
Oggi sono venuto per la Visita Pastorale, cioè per quel dovere che ha il Vescovo di visitare le comunità e tutte le parrocchie della diocesi; e quindi la Visita Pastorale per me è l’occasione per dirvi che voi mi siete cari, che voi mi state a cuore, che io sento responsabilità per voi, per il vostro cammino di fede, per la vostra vita di comunità.
Non potendo evidentemente essere presente con continuità, il Vescovo esprime la sua attenzione alle singole comunità attraverso coloro a cui dà il mandato: quindi i preti, i diaconi, i seminaristi, i catechisti, le catechiste, gli operatori della Caritas, gli animatori dell’oratorio feriale… Ecco, tanti che durante l’anno vengono in Duomo oppure io ho occasione di incontrare e a cui io do un mandato per servire la comunità; però oggi sono venuto qui per dirvelo di persona: voi mi siete cari.
La comunione tra voi
Poi, la presenza del Vescovo è anche un’occasione per rinnovare quel senso di appartenenza all’unica Chiesa, quel senso di comunione dentro la Chiesa – il Vescovo è unico per tutta la diocesi e i preti sono suoi collaboratori perché si formi un’unica Chiesa – quindi questa fraternità che deve essere riconoscibile, come un segno di un popolo in cammino.
Perciò sono venuto a dirvi: rallegratevi di essere nella grande Chiesa di Milano, accogliete volentieri le indicazioni pastorali che la Chiesa di Milano offre. Ecco, sentirsi parte di una Chiesa che offre tante occasioni di incontro, di formazione, di verifica. Questo deve essere motivo di gratitudine: sentirsi fieri di essere della Chiesa di Milano, grati per questo, responsabili di partecipare attivamente alle proposte che vengono fatte.
E anche localmente: costruire questa collaborazione, questa pastorale d’insieme che è indubbiamente il futuro della nostra pastorale sul territorio. Melzo è stata forse tra le prime o la prima città in cui si è dato vita a una pastorale d’insieme tra le tre parrocchie, e io leggendo il resoconto di quello che avviene ed è avvenuto ho percepito difficoltà, tensioni, divergenze, oltre che apprezzamento per iniziative e proposte.
E quindi mi sembra importante essere qui per dire “camminiamo insieme”, qui per dire “cerchiamo una profonda comunione nel Signore” e anche una comunità visibile, riconoscibile per la cordialità dei rapporti, per la determinazione a cercare insieme le vie da percorrere.
Ecco, camminiamo insieme. Siamo una Chiesa che deve essere riconoscibile per la comunione che vi abita: quindi sono venuto per dirvi questo, che mi siete cari, per dirvi “sentite l’appartenenza alla Chiesa”, come una grazia da far fruttificare.
Ascoltare ciò che il Signore ci dice.
Poi, sono venuto per ascoltare con voi quello che il Signore ci dice nella Parola che è stata proclamata; da questa Parola voglio mettere in evidenza tre punti che mi sembrano indicazioni per il cammino che dobbiamo percorrere.
Il primo è una domanda: ma la comunità aiuta il cammino di fede o lo rende più difficile? Qui, nel Vangelo, abbiamo la testimonianza che i responsabili della legge – del culto da rendere a Dio – sono diventati un ostacolo per la fede di questo cieco guarito. I Farisei, i Giudei… hanno circondato di sospetto l’opera di Gesù e quindi anche la gratitudine del cieco guarito. I Farisei, che erano responsabili della legge, del rispetto del precetto del sabato – per rendere culto a Dio, si capisce -, hanno creato una difficoltà, addirittura hanno cacciato fuori dalla Sinagoga – cioè dal luogo della lettura e della meditazione della legge di Dio – questo cieco guarito e hanno fatto paura anche ai genitori. Diciamo che il contesto è stato una difficoltà piuttosto che un aiuto per incontrare e riconoscere la presenza del Signore.
Invece, nella prima lettura, abbiamo questa scena veramente commuovente di Mosè che va ad incontrare Dio nella tenda del convegno e tutti gli Israeliti escono dalla tenda, si mettono in piedi e poi si prostrano per adorare la presenza di Dio: una comunità che proprio perché partecipa coralmente all’incontro di Mosè con il suo Signore rivela una fede condivisa, incoraggia il cammino nel riconoscere la presenza di Dio.
Perciò, da queste due immagini così contrastanti noi non possiamo sottrarci alla domanda: la nostra comunità aiuta la fede delle persone? accompagna all’incontro con il Signore? Fa capire che c’è un punto di riferimento che ci raduna tutti? Questo è il primo pensiero: verificare come la comunità incoraggi il cammino di fede di ciascuno.
Il secondo pensiero è invece sul fatto che ciascuno deve incontrare personalmente Gesù: e non basta la tradizione, non bastano le abitudini di una comunità; alla fine quest’uomo cieco guarito da Gesù non è abbastanza che sia stato guarito, non è abbastanza vedere con gli occhi del corpo per non essere più in mendicante che dipende dagli altri per vivere, ma è chiamato a riconoscere in Gesù il Signore, il Figlio dell’Uomo, colui che compie le promesse dei profeti, colui che salva. Quindi questo è testimonianza del Vangelo di oggi che è uno dei Vangeli che ci accompagnano a Pasqua e ci interroga, ci dice: ma tu lo incontri personalmente Gesù? Tu credi nel Figlio dell’Uomo? E l’uomo dice “Ma chi è, non lo conosco!” “Sono io, che ti parlo” dice Gesù.
Ecco, l’incontro personale: perché la fede non è un patrimonio che si riceve come una cosa, la fede è un rapporto personale. Quindi questa è la seconda domanda: come incontro io personalmente il Signore? Riconosco la Sua presenza nella mia vita? Lo accolgo, Lo seguo, anche se il contesto intorno non è favorevole?
Il terzo punto che voglio sottolineare: nella seconda lettura Paolo scrive ai Tessalonicesi e raccomanda un comportamento che renda questa piccola comunità di Cristiani in mezzo alla città di Tessalonica un segno. In questo brano di questa lettera si raccolgono tre raccomandazioni: la prima è di dominare le passioni, di non lasciarsi trascinare dalle passioni che corrompono il corpo e l’anima. Quindi, in un contesto in cui la vita sessuale, i rapporti erano segnati da un’inclinazione alla corruzione dice “i Cristiani si distinguono perché vincono le passioni”. Poi dice “un lavoro onesto, lavorate con le vostre mani per non dipendere da nessuno”; poi dice “quanto all’aiuto, all’amore fraterno, voi non avete neanche bisogno che ve ne parli, perché già lo praticate, ma crescete nell’amore, camminate per rendere più unita la comunità”.
Ecco, quindi questo terzo pensiero che voglio raccomandare è questa responsabilità: essere nella città una comunità, che si riconosce per la vita morale, per la vita professionale e per l’aiuto vicendevole, l’amore fraterno. Io vorrei raccomandare, di accogliere anche noi – non solo quelli di Tessalonica – questa raccomandazione di Paolo, che cioè l’aiuto vicendevole, l’amore fraterno, può crescere, diventare più cordiale, più semplice, più riconoscibile; che tra di noi si capisca che ci vogliamo bene e che forse è tempo di superare tanti elementi che portano al risentimento, alla divisione, al malumore per dire “il Signore ci chiama per essere un cuore solo e un’anima sola”. E Lui compie questa vocazione nell’Eucaristia.
Questo vogliamo raccogliere perché il nostro cammino verso Pasqua possa continuare con intensità. È questo che sono venuto a dirvi:
- voi mi siete cari;
- voi fate parte di una Chiesa chiamata a camminare in una pastorale di insieme che possa portare frutti.
- Poi, ascoltare questa parola di Dio che ci dice tante domande: ma la nostra comunità aiuta il cammino di fede di ciascuno? Ciascuno di noi vive un rapporto personale con Gesù? L’amore fraterno è veramente un segno distintivo del nostro essere Chiesa?
+ Mario
Arcivescovo